Il Desmodio, pianta poco conosciuta, ma estremamente efficace nella cura delle patologie epatiche.
Il Desmodium adscendens, e il suo omologo orientale il Desmodium triquetrum, sono piante ancora poco conosciute e quindi poco utilizzate in campo fitoterapico, nonostante abbiano dimostrato un’ottima e rapida azione di protezione della cellula epatica rispetto ad insulti tossici/farmacologici, e di rigenerazione della stessa a danno avvenuto.
In questo articolo “Attività epatoprotettiva e antiossidante di Desmodium Triquetrum DC”, pubblicato nel 2011, di cui si riporta per completezza il testo intero in inglese, è stata studiata l’attività epatoprotettrice, rigenerante e antiossidante del Desmodio, mettendola anche a confronto con l’attività della più nota Silimarina, componente del fitocomplesso del Carduus marianus.
Lo studio è stato condotto utilizzando un estratto alcolico di foglie di Desmodio su ratti albini intossicati con tetracloruro di carbonio (CCl4). Come gruppo controllo è stato utilizzato un gruppo di ratti intossicati e non trattati, uno di ratti non intossicati, e uno di ratti intossicati e trattati con Silimarina.
Al decimo giorno di trattamento è stato effettuato un prelievo e successivamente l’ analisi del sangue di tutti i soggetti facenti parte della sperimentazione e il fegato di alcuni animali è stato utilizzato per lo studio istopatologico e per il dosaggio degli enzimi antiossidanti presenti.
Per valutare il danno epatico indotto da CCl4 sono stati effettuati in particolare su siero, il dosaggio delle transaminasi (SGOT e SGPT), della fosfatasi alcalina (SALP) e della bilirubina sierica.
Il fegato prelevato da alcuni soggetti, è stato perfuso con una soluzione fisiologica ghiacciata per rimuovere il sangue. Un 5% p /v di omogenati di fegato è stato preparato in saccarosio 0,25 M in tampone Tris 0,1 M a pH 7,2 e centrifugato. Il supernatante così ottenuto è stato utilizzato per la stima della superossido dismutasi (SOD), della catalasi (CAT) e del glutatione ridotto (GSH).
È noto come il CCl4 sia biotrasformato dal citocromo P-450 nel reticolo endoplasmatico del fegato in radicale libero triclorometilico altamente reattivo (CCl3). Questo a sua volta reagisce con l'ossigeno molecolare per formare un radicale triclorometil perossido, che può attaccare i lipidi sulla membrana del reticolo endoplasmatico e causare la perossidazione lipidica. La perossidazione lipidica avvia a sua volta, una serie di reazioni, vale a dire la distruzione dell'omeostasi del Ca + 2, l'aumento degli enzimi epatici, l'esaurimento del GSH e infine la necrosi epatica che sappiamo giocare un ruolo di primo piano nella patogenesi delle patologie epatiche in genere.
L'effetto del Desmodio sugli enzimi epatospecifici, sulla bilirubina sierica, sulla Superossido dismutasi, sulla Catalasi e sul GSH nei ratti con danno epatico indotto da CCl4 è di evidente beneficio: si è infatti avuta una riduzione significativa dei livelli, aumentati dal tossico, di questi enzimi e della bilirubina sierica nei trattati con Desmodio, che avevano al decimo giorno di trattamento valori simili ai topi non intossicati con CCl4 e usati come controllo. Si è inoltre potuto notare un successivo recupero migliore nei topi trattati con Desmodio, rispetto al gruppo trattato con Silimarina.
Livelli elevati di transaminasi riflettono la perdita dell'integrità strutturale e funzionale della membrana cellulare del fegato. Quando la membrana cellulare degli epatociti viene danneggiata, nel sangue viene rilasciata una varietà di enzimi dal citosol e la loro stima nel siero è un indice per la misurazione della gravità del danno epatico. I livelli di SALP e di bilirubina sono invece correlati alla funzione della cellula epatica. Il Desmodio ha antidotato l'effetto tossico del CCl4, ripristinando anche i livelli normali di ALP e bilirubina che indicano un miglioramento rapido nel meccanismo secretorio delle cellule epatiche.
Inoltre , le osservazioni istologiche hanno evidenziato nelle cellule epatiche del gruppo intossicato con CCl4, presenza di necrosi centrolobulare, dilatazione della vena centrale e presenza di cellule infiammatorie e con degenerazione grassa. Il gruppo trattato con Desmodio mostrava invece un'architettura del fegato quasi normale, con rigenerazione /riparazione degli epatociti e assenza di degenerazione grassa, comparando l’osservazione sia col gruppo non trattato col CCl4 che col gruppo trattato con Silimarina.
Infine nello studio si nota come le concentrazioni di di SOD, CAT e GSH, significativamente ridotte nel gruppo trattato con CCl4, avevano livelli ripristinati nei gruppi trattati con Desmodio e con Silimarina ed erano comparabili con il gruppo di controllo non intossicato con CCl4. SOD, CAT e GSH costituiscono un efficace meccanismo di difesa del corpo contro gli effetti dannosi delle specie reattive dell’ossigeno(ROS ). Mentre il CCl4 subisce la sua biotrasformazione, nel fegato vengono generati ROS. La reazione dei ROS con gli antiossidanti cellulari causa la deplezione degli enzimi antiossidanti stessi e quindi lo stress ossidativo. La somministrazione di Desmodio ha conservato in modo significativo le attività di SOD e catalasi manifestando così attività epatoprotettiva a causa dell'inattivazione delle specie reattive dell'ossigeno.
Lo studio si conclude con l’affermazione che i flavonoidi, i composti fenolici e i glicosidi contenuti nel fitocomplesso del Desmodio sono i principali responsabili dell’ottima attività epatoprotettrice e antiossidante mostrata dalla pianta, ritenuta pertanto efficace nel proteggere il fegato da insulti tossici di varia natura e dall’azione dello stress ossidativo che ne compromette struttura e funzione.
Il Desmodio ha inoltre il vantaggio di poter essere somministrato senza problemi anche ad animali epilettici che presentino danno epatico da protratto trattamento farmacologico con antiepilettici, al contrario di altri fitoterapici, pur molto efficaci, come ad esempio il Rosmarinus officinalis in macerato glicerico. Il Rosmarinus officinalis infatti può risultare controindicato perché ritenuto responsabile di abbassare la soglia epilettogena, e quindi di esporre l’animale a rischio di ulteriori crisi.
Autore: Dr.ssa Maria Luce Molinari